“I diari della motocicletta”
– le cose che ci accomunano: l’inquetudine, i grandi ideali…
“Mar adentro”
Il mare. Immenso, impossibile da circoscrivere. O quasi. Perché anche l’infinito può essere racchiuso nel finito, nel contingente, nel caduco. Nell’uomo, punto d’incontro fra spirito e corpo, trascendente e terreno. E quando l’involucro corporeo è danneggiato oppure viene meno, rimane l’essenza dell’essere umano. Che può viaggiare con la mente, muoversi con l’anima, desiderare di essere altrove. Così, pensando al tetraplegico protagonista del nuovo film di Alejandro Amenábar ispirato a una storia vera, inchiodato ad un letto per trent’anni senza poter muovere gli arti, tornano in mente i famosi versi di Whitman: “Sono vasto, contengo moltitudini.” Perché, nonostante lotti per il suo diritto all’eutanasia, Ramón Sampedro – interpretato da uno strepitoso Javier Bardem – è pieno di vita. Ironizza con sarcasmo sulla sua condizione, difendendo la propria dignità con grande forza di carattere. Invece di reclinarsi sotto il velo della pietà altrui, si erge a dispensatore di saggezza. Due donne animano la sua vita: Julia lo sostiene nella sua battaglia contro il conformismo, l’ipocrisia, la commiserazione dietro cui si nasconde l’immobilità culturale, religiosa, politica; Rosa se ne innamora e capisce che l’amore non deve essere possessivo.
Entrambe rimarranno segnate dalla sua personalità, da una vitalità che paradossalmente desidera la morte.
Un’indagine sul senso della vita e sulla morte – i confini fra le due sembrano confondersi, come già, sotto un altro punto di vista, nel lavoro precedente di Amenábar, “The others” – una riflessione lucidissima e commovente senza quegli eccessi di patos o di retorica che spesso purtroppo pervadono i film sul tema dell’handicap. Le emozioni non si affidano al moralismo buonista, ma alle immagini coinvolgenti, al commento sonoro della musica. I linguaggi più puri e universali. Eppure, come in un altro bel film, “Parla con lei”, la narrazione intrattiene piacevolmente, il ritmo non si arena, anzi, il regista crea quasi una suspense da thriller nei confronti della fine di Ramón, del coronarsi del suo sogno di morte. Una morte che, in realtà, diventa affermazione di volontà, di libertà e quindi di vita. La presenza nell’assenza. Non è forse qualcosa d’intrinseco nella stessa natura del significante cinematografico? La pellicola non proietta ombre danzanti di persone fisicamente assenti e tuttavia ancora presenti?
A parte la regia limpida dai suggestivi movimenti di macchina e la bella fotografia naturalistica, “Mar adentro” (il titolo è la citazione di un verso del protagonista) si avvale della riuscitissima e sentita interpretazione di Javier Bardem, macho attore feticcio di Bigas Luna (“Le età di Lulù”, “Prosciutto prosciutto”, “La teta y la luna”) e Almòdovar (“Carne tremula”, ancora nel ruolo di un handicappato), che, a dispetto del trucco pesante e della sua fisicità rinnegata, comunica con lo sguardo o le esitazioni della voce. Il film è in concorso alla 61a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, dove peraltro Bardem ha già vinto nel 2000 una Coppa Volpi per “Prima che sia notte”, ritratto dello scrittore cubano Reinaldo Arenas. Che vinca o meno anche quest’anno, poco importa. Con un’opera così epica e al tempo stesso intimista, lui e Amenábar hanno già vinto.