Una voce dal web

Io vi avviso, ho scritto tanto, davvero tanto. Se non vi va, non leggete.

Gentile Ministro Azzolina,

La prego di perdonare il profluvio di parole, finora ho tenuto per me opinioni ed idee accettando passivamente ogni decisione ed affrontando tutte le decisioni con stoica sopportazione solo per amore del lavoro che faccio, il docente.

Sì, di amore si tratta, un amore nato dopo che per anni, io ingegnere, ho rifiutato il mondo della scuola che pur mi ha cullato per tutta la vita (padre, madre, sorella, suocero suocera e cognata tutti insegnanti). Poi ho scoperto il vero cuore della Scuola, i miei ragazzi, quelli che mi hanno tenuto vivo quando il mondo mi è crollato addosso alla morte di mia moglie, quelli che mi hanno restituito la voglia di studiare e di imparare e che mi hanno regalato due braccia lunghissime, quelle stesse braccia con cui li abbraccio, tutti, accompagnandoli in un percorso di vita.

Non mi prenda in parola, La prego, ma questo è un lavoro che farei, comunque, anche senza stipendio.

Lo scorso febbraio il mondo si è svegliato all’inferno. Pandemia. Una parola letta sui libri, ma a memoria di studente, non mi pare che la Storia abbia mai visto un fenomeno del genere. Il tempo di incolpare Cinesi ed Italiani e tutti, senza soluzione di continuità e con un principio di feroce democrazia virale, siamo finiti in un posto in cui nessun luogo è diventato sicuro.

La scuola non è rimasta oasi di felicità, ma ci siamo ritrovati lontano dagli edifici a doverci inventare un nuovo modo di fare lezione. La prego di ricordare con me come la famosa, ed oggi famigerata DIDATTICA A DISTANZA, non è stata consigliata da nessuno. Nessun pedagogo, nessun politico, nessun legislatore, nessun esperto la ha organizzata ma è stato un movimento spontaneo, l’intero corpo docente non si è fermato.

Certo, abbiamo iniziato a fare lezione inventandoci modi di comunicare, esplorando i sentieri, oscuri ai più, della comunicazione via web, via wi-fi. Abbiamo usato ogni mezzo disponibile, all’inizio almeno, incuranti di tutte quelle norme come la privacy. Raggiungere i ragazzi era il primo obiettivo. Certo, abbiamo seguito l’esempio di quelle scuole rette da Dirigenti illuminati che in tempi non sospetti hanno lanciato la scuola nel nuovo millennio inventando davvero la DAD, ma intesa come Didattica Assistita dal Digitale, che, pandemia o no, resta la vera rivoluzione nel mondo della scuola. Non glieli cito, Ministro, non qui, ma ne conosco personalmente almeno una decina e in maniera indiretta altrettanti che hanno inteso mettere al centro del dialogo educativo i ragazzi, il loro mondo, la loro tecnologia e prima ancoro la loro comunicazione ed i risultati sono stati eccellenti.

Del resto, mi consenta una camminata nei miei pochi anni di insegnamento, mi sento di far parte di quella generazione di docenti figli del PNSD, una iniziativa meravigliosa che ci ha dato respiro e che, al variare dei governi, in Italia e nella scuola frequenti come il cambio delle stagioni, è sparito, messo in naftalina, in eterna attesa.

Si leggeva, tra le pagine illuminate del documento che il PNSD

“… risponde alla chiamata per la costruzione di una visione di Educazione nell’era digitale, attraverso un processo che, per la scuola, sia correlato alle sfide che la società tutta affronta nell’interpretare e sostenere l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita (life-long) e in tutti contesti della vita, formali e non formali (life-wide) …”

Ed ancora

“… si tratta prima di tutto di un’azione culturale, che parte da un’idea rinnovata di scuola, intesa come spazio aperto per l’apprendimento e non unicamente luogo fisico, e come piattaforma che metta gli studenti nelle condizioni di sviluppare le competenze per la vita. In questo paradigma, le tecnologie diventano abilitanti, quotidiane, ordinarie, al servizio dell’attività scolastica, in primis le attività orientate alla formazione e all’apprendimento, ma anche l’amministrazione, contaminando – e di fatto ricongiungendoli – tutti gli ambienti della scuola: classi, ambienti comuni, spazi laboratoriali, spazi individuali e spazi informali. Con ricadute estese al territorio …”

Sono certo che Lei, come ex docente e Dirigente conosca bene questi passaggi. Del resto all’inizio di marzo, quando il movimento spontaneo già organizzava lezioni e materiali, si confrontava senza interruzione sui social per provare ad ottimizzare metodologie e situazioni problematiche e portava avanti un dialogo educativo, in qualche modo efficace, leggevo con speranze sui giornali dichiarazioni come

“… il Ministero dell’Istruzione lavora sulla diffusione dell’educazione digitale con un duplice obiettivo: da una parte fornire agli studenti le competenze digitali per utilizzare in modo corretto il web, comprese le nozioni di base del coding; dall’altra però è indispensabile anche la modernizzazione in chiave digitale degli istituti scolastici, fornendo alle scuole le tecnologie per connettersi alla rete e strumenti didattici moderni…”

e ancora

“… I ragazzi devono imparare e abituarsi ad un uso responsabile degli strumenti tecnologici, a stare in modo corretto sulla Rete e, ovviamente, sui social network, perché questo significa essere messi in condizione di gestire le loro relazioni digitali, anche in contesti non protetti …”

Ed infine, anche se potrei continuare

“… Serve un investimento robusto, sistemico, già a partire dalla prossima legge di bilancio, su scuola e università. Solo così si potrà ridurre il numero degli alunni per classe e conseguentemente reclutare, formare e assumere il personale necessario. Questo consentirà, anche, come stabilito nel programma di Governo, di investire risorse rendendo gratuito il percorso di studi a centinaia di migliaia di studenti le cui famiglie, oggi, si trovano in condizioni di difficoltà…”

Lo ammetto avevo entusiasmo. Le ha riconosciute, Ministro? Eh sì le ha dette proprio lei queste cose, insieme a parole come Resilienza, Reazione, Possibilità.

Poi, però, me lo consenta, è iniziato un gioco strano. Ventidue febbraio 2020: scuole chiuse fino al 2 marzo. Domenica 1 marzo: scuole chiuse fino al 4 aprile. Anzi no: 18 maggio. Nel frattempo tutti tranquilli: tutti promossi. Quattro maggio: già che ci siamo concludiamo l’anno scolastico in DAD. Anzi, torniamo a scuola l’ultimo giorno in giardino a far dire addio alle classi terminali. Improvvisiamo un Esame di Stato in presenza. Maggio: pubblichiamo le Linee Guida per l’insegnamento dell’Educazione Civica per l’anno scolastico 2020-2021. Facciamo scuola nei cinema. Nei musei. Nei parchi. Nelle piazze. Tutti allegramente insieme, perché si sa che la scuola è socializzazione. Anzi no, riapriamo le scuole il primo settembre. Poi facciamo cominciare le lezioni il 14 settembre IN SICUREZZA, talmente in sicurezza che a che serve la mascherina a scuola per i ragazzi. Però prima facciamo fare obbligatoriamente il sierologico volontario ai docenti. Mettiamo i termoscanner. Anzi no, costano troppo. Siate civili e misuratevi la temperatura a casa. Settembre, ottobre: la scuola è un posto sicuro.

E siamo all’inizio dell’anno. Leggiamoli insieme questi interventi. Siamo entrambi di un’altra generazione, Ministro e, diciamocelo, mi sa tanto di battaglia navale. B7 ACQUA, C8 ACQUA. Eh sì, e il virus se la ride, nascosto con la sua flotta.

Ma anche qui, guardi, ci siamo piegati, abbiamo lavorato. Non so se ha la vaga idea dello sciamare di docenti e personale ATA nelle scuole per allargare aule, misurare spazi, pulire, sanificare, ridipingere, verificare, organizzare orari. L’estate è passata così. Ce l’abbiamo fatta, ma a che prezzo?

Diciamo che sto per presentarle il conto.

Iniziamo da una certa forma di comunicazione. Mi permetta di riprenderla proprio sulla scelta delle parole. Siete politici ed in quanto tali dovreste indicare una direzione da seguire e la scelta delle parole è fondamentale.

Ha iniziato, dopo aver sapientemente cavalcato l’onda spontanea della formazione digitale dei docenti, a parlare di recupero del tempo perduto, tacitamente tornando a parlare di programmi non terminati e precipitando la scuola trent’anni indietro. Certo perché, involontariamente, ne sono certo, lei ha improvvisamente delegittimato il ruolo del docente che non è, ma da tempo, quello di trasmettere conoscenze, ma di creare un pensiero critico, la capacità di diventare cittadini pensanti, quello di accendere un fuoco sacro di curiosità e voglia di imparare (certo proprio la citazione di Plutarco che lei ha sommato all’imbuto di Norimberga sbagliandola e raccontandoci di come non si debbano riempire imbuti… è stato divertente). Certo, lo facciamo con le nostre discipline, ma noi, glielo garantisco, non perdiamo tempo.

Di più, aggiungo che, se avesse fatto da docente anche solo una settimana di didattica a distanza, si sarebbe accorta di quanto il tempo-scuola sia cambiato. Innanzitutto la famosa videolezione non è più un mero punto di partenza, non l’abbrivio della lezione, ma la fine, l’incontro di verifica. È già, perché a distanza si lavora in maniera asincrona, si lanciano sfide, si coinvolgono i ragazzi, li si invita a digerire conoscenze, a farle proprie e a rielaborare quei contenuti in maniera personale. Vede, in questa maniera si sposta il centro di nucleazione del processo educativo e lo si fissa sul ragazzo. Il digitale non è né freddo, né caldo, né distante né empatico, quelle sono caratteristiche umane. Il digitale è uno strumento che ci consente, quando usato bene, di trasformare una classe di venti studenti in venti classi da uno studente e va usato sempre, pandemia o no. Ma richiede un tempo infinito. Preparare lezioni, video-lezioni, registrare video, modificarne di altri, inserire contenuti multimediali, trovare il materiale, scrivere appunti, correggere i contributi. Mi creda ministro un’ora di lezione ci comporta almeno una giornata di lavoro matto e disperatissimo, Ecco noi non dobbiamo recuperare nessun tempo perso.

Ancora sul linguaggio. DOBBIAMO RIAPRIRE LE SCUOLE. Ne sta facendo un fatto personale. Certo, non ho paura di dirlo. È diventata una bambina capricciosa che sbatte i piedi a terra e strepita per un giocattolo che non le danno. Glielo scrivo così perché questa è l’opinione dei miei studenti, scevri da quelle modeste strumentalizzazioni dei ragazzi messi sui banchetti davanti alle scuole che non fanno onore né a lei né alle famiglie che lo consentono. Per farla breve, ministro, è un peccato imperdonabile che lei non si sia accorta che, dopo sei mesi, le scuole non hanno mai chiuso, che le scuole non hanno perso un solo giorno. E se da responsabile del dicastero, lei, ancora non coglie la differenza tra un’istituzione morale ed un edificio fisico, beh forse non è seduta sulla poltrona giusta.

Un’altra considerazione sugli occhi dei bambini. È diventato un mantra, il ritornello di una canzone di San Remo. Dobbiamo tornare a stare vicino ai ragazzi, abbracciarli, camminare in mezzo a loro e guardarli negli occhi (come se quando faccio lezione a distanza tenessi gli occhi chiusi). Noi viviamo delle loro gioia, noi la respiriamo, ma lei, ministro? c’è stata nelle classi a settembre? Li ha visti questi soldatini con le mascherine, li ha visti i loro occhi spaventati, si è accorta che avevano paura anche a scambiarsi una matita, sa che uno starnuto provocava minuti di paura? Ecco cosa era la SCUOLA LUOGO SICURO, una stia per polli di batteria dove l’aspetto umano era difficile da recuperare. E tralascio, mi scusi, ogni commento sulle classi divise metà in presenza e metà a casa. La prego, fare lezione è altro.

Lei è stata capace anche di sottolineare come con la scuola chiusa le famiglie sono tutte in difficoltà perché non sanno a chi lasciare i figli. Spero si sia accorta della gaffe e dell’offesa fatta ai docenti. Guardi, sono padre anche io e padre solo che cresce un bambino meraviglioso, ma non posso considerare la scuola alla stregua di un’associazione di babysitting. La scuola deve essere, nell’idea di tutti, soprattutto del ministro, avamposto di legalità e cuore pulsante della vita del paese.

E chiudo, mi scusi ancora per le tante parole, con una considerazione del ruolo del politico. Sarà un atteggiamento qualunquista, lo riconosco, ma comincio a non poterne più di queste conferenze stampa, di questi comunicati da psicologi, preoccupati di cose come sorrisi, empatia, gioia, serenità. NON VI COMPETE.

Smettete la politica dei salotti e della demagogia, smettete la politica della campagna elettorale permanente alla ricerca di facili applausi. L’Italia è una nazione di rara intelligenza con una grandissima capacità di sopportazione. La verità è che da un politico ci si aspettano tre cose. Interventi risolutivi dei problemi, una visione a breve termine ed una visione a lungo termine.
Riconosco che sono arrivati nella scuola una quantità enorme di finanziamenti, bene, ma non benissimo. In che direzione sono andati questi fondi? Banchi, attrezzature, computer, tablet, tutti utili e funzionanti, ma non calati in una visione strategica. Quando tutto finirà, torneremo come prima.

Ci saremmo aspettati che ci fosse un lavoro concreto di programmazione politica che manca. Esempio. In molte scuole, la mia ad esempio, ci sono docenti delocalizzati, come elettroni impazziti, su più scuole. Ce ne siamo andati allegramente girando per strade scuole e comuni, incontrando persone e comunità aumentando ferocemente il rischio di contagio. Sarebbe stato il caso di bloccare questo laddove nella stessa scuola è stato chiesto organico COVID per mancanza di personale. Ma è solo un esempio. Mi piacerebbe chiederle, augurandole un dicastero di durata consistente, dove vuole portare la scuola fra cinque anni e come vede la scuola italiana tra dieci anni. Mi perdoni la franchezza, ma credo che lei questa domanda non se la è mai fatta.

Le cito l’opinione di mio figlio, un bambino di dieci anni, come tanti altri. Gli ho detto che probabilmente tornerà a scuola il 9 dicembre. Mi ha chiesto cosa fosse cambiato da quando sono state chiuse le scuole, voleva sapere se i problemi erano stati risolti. Quando ho detto no mi ha chiesto gelido “papà ma ci hanno preso in giro quando la hanno chiusa la scuola o ci prendono in giro adesso che la riaprono?”. Intelligenti pauca.

La saluto con un’ultima considerazione, fatta da chi, ingegnere, forse è un po’ più avvezzo ai numeri di lei. Fidarsi delle percentuali è pericoloso e destabilizzante. Una percentuale è un numero adimensionale, è un uomo senza volto, un camaleonte che assume ogni forma che volgiamo, per parlare il suo linguaggio da politico, la percentuale è quel numero che consente a partiti politici italiani, da sempre, di non perdere mai alcuna elezione. Ecco, finora abbiamo considerato la scuola sicura solo sulla scorta di percentuali (le ultime non sono confortanti). Io le mostro, invece, un numero … 1. Sì il numero 1. Ma ci metto una unità di misura “ragazzo contagiato”. Un solo alunno contagiato, ministro, è un numero sufficientemente alto per ritenere giusta la chiusura di ogni edificio scolastico. La salute dei nostri ragazzi non può essere messa in discussione da alcun proclama politico.

Le auguro un buon lavoro, ministro, scevro da demagogia e me ne torno a dedicare tutto me stesso ai miei ragazzi.

 

Luca Scalzullo