L’anniversario

di Massimo Gramellini30 gennaio 2021

Il 30 gennaio 2020 l’Oms dichiarava l’emergenza Covid, suggerendo restrizioni alla mobilità. La sera prima, due turisti cinesi erano stati ricoverati a Roma, ma qualcuno ancora ci scherzava su e il signor Gennaro da Forcella affittava «o cinese con la tosse, che per quindici euro tossisce alla Poste e ti fa saltare la fila». È passato un anno, eppure non sembra ieri: sembra un secolo fa. Certe volte mi sorprendo a chiedermi se è veramente esistita un’epoca in cui stringevo la mano a qualcuno e poi, con la stessa mano, prendevo un pezzo di pane e lo portavo alla bocca. Conservo ricordi confusi di gomitate in metropolitana e piedi pestati allo stadio. Un mio amico sostiene che il figlio frequentava le aule di un liceo e il sabato usciva di casa a mezzanotte per andare a stiparsi con i suoi simili dentro luoghi non sanificati. Gli insegnanti, per dirla alla Pasolini, educavano con l’esserci e non solo con il parlare. Il distanziamento sociale era una critica, non un ordine. Le persone che incontravi per strada avevano la bocca in vista e ci si abbracciava e baciava senza pensarci su. Gli uffici erano abitati dall’uomo e la pausa pranzo nutriva una sterminata vegetazione urbana di bar, palestre, centri estetici. L’asporto era un piacere, non ancora un dovere.

I futurologi prevedevano che l’economia digitale avrebbe soppiantato quella fisica non prima del 2050. Nella maggioranza, Renzi si lamentava con tutti e tutti si lamentavano di lui. Ecco, almeno una cosa non è cambiata.