Un prisma

come sto? Come mi sento oggi? Dopo una serata con amici a bere qualcosa, a passeggiare sul mare e a dirci cose. E dopo una mattinata in macchina. Da sola. Una strada lunga. E larga. Tanto tempo per pensare, per riflettere in silenzio. Finalmente. Quanto vorrei fare un viaggio, lontano da qui e lontano da me stessa. Essere in ferie da me stessa. “Bellissimo” come direbbe un amico “Bellissimo”… ho perso qualcosa e forse non ne ho neanche capito il perchè. Triste. E mentre andavo, in macchina da sola, e riflettevo……………..

ora me ne sto davanti a questo schermo, pagina bianca, in attesa di un tè. Tra un’ora saranno le cinque ed io mi sento un tantino inglese in questa consuetudine della Domenica pomeriggio. Il mio schermo: un rifugio. E tu, amico inesistente: una protezione. Sto leggendo molto: un libro è un rifugio sicuro, un viaggio improvviso e mai scontato. Credi che si possa essere felici a metà? Vivere in equilibrio. Esiste secondo te una via di mezzo? Non parlo di un compromesso, ma di qualcosa che ci renda felici senza forti rinunce! Credi che sia possibile? Vorrei un’alternativa.
C’è una frase che mi rimbomba dentro e continua ad esserci come un disco incantato… guardare le cose in una sola ottica? non è da me… una persona una volta mi ha regalato un prisma… mille sfaccettature… mille prospettive diverse… credo di aver imparato, o almeno ci provo. Il mio palcoscenico? Il centro dell’universo? Ci salgo quando ho voglia di farlo… per il resto, mi trovi tra gli altri… è lì che sto seduta…

Coppie leggere & amori flessibili (di Mara Accettura)

Le statistiche segnalano: tra qualche anno in Europa il numero dei single sorpasserà quello delle famiglie. Bilancio di un gruppo sociale al potere. Che immagina la vita in due come un contratto a termine.

Gli inglesi hanno coniato il termine Smc, semi-detached couple, coppie nirvana dove si sta con qualcuno ma si vive per conto proprio. Relazioni in cui si è in tre, io, te e, in ultima analisi, noi. Single ma insieme. A riscrivere lo script della famiglia. In tempi di precarietà, decremento di matrimoni, aumento di divorzi e convivenze seriali, l’amore è un contratto a termine che nasce con data di scadenza attaccata. “Viviamo in una società-Singleton” spiega il sociologo Frank Furedi “dove le persone fanno scelte individuali, si è meno condizionati a sposarsi e più a inseguire una carriera. Le relazioni diventano quindi meno cruciali”. Il single dunque è diventata una categoria esistenziale. Vivere da soli è diventato uno stile di vita desiderabile e intelligente, non più sinonimo di solitudine ma di autonomia economica e affettiva. Dice il protagonista dell’ultimo libro di Frédéric Beigbeder -L’amore dura tre anni- :”La nostra generazione è troppo superficiale per il matrimonio. Ci si sposa come si va al Mc Donald’s. Poi, si fa zapping. Come vorreste che si restasse tutta la vita con la stessa persona nella società dello zapping generalizzato? In tempi in cui le star, gli uomini politici, le arti, i sessi, le religioni sono più intercambiabili che mai, perchè il sentimento amoroso dovrebbe fare eccezione alla schizofrenia generale?”.
Si interrompe il rapporto quando bisogno o desiderio si esauriscono. Dalla passione alla tenerezza alla noia. E alla fine si ricomincia il ciclo come in una specie di samsara o di serial televisivo. Nella società individualizzata la paura di perdersi regna sovrana. Per i nuovi single la difesa degli spazi personali diventa nevrotica. Secondo Furedi ha esacerbato il conflitto d’interessi e ha avuto un impatto distruttivo sull’impegno e sull’intimità. Indebolendo le basi per un rapporto che dura. La flessibilità è passata dal mondo del lavoro ai rapporti con gli altri. Insomma, in una cultura che non legittima impegno e durata, l’unica storia d’amore posibile è quella con se stessi. “I nuovi single? Io li chiamo immacolate concezioni” continua Galimberti “sospesi da terra per non sporcarsi nel fango di una storia. Il sesso non ha passato nè futuro. In rapporti così non si costruisce nessuna biografia”. “Il sesso” scrive Bauman “può essere tranquillamente racchiuso nella cornice di un episodio: non lascia solchi profondi sul volto perennemente curato e garantisce che la libertà di sperimentare non verrà in alcun modo limitata”.

Any comment? I don’t think so…

into the nighttime

i silenzi sono, invece, più difficili da ascoltare. E da capire. A volte dicono tanto, ma spesso non dicono proprio niente.
Credi che sia veramente così? Che dovrei sforzarmi di dare un senso anche a quelli? Che dovrei sforzarmi di guardare le cose in una prospettiva diversa? Forse imparerò.
The street bears no relief | when everybody’s fighting | the street bears no relief | with light so hot and binding | i run the stairs away | and walk into the nighttime | the sadness flows like water | and washes down the heartache | and washes down the heartache [moby – harbour ]

Momo

ciao. Oggi sono serena. sarà che quando la notte è stata buia, così tanto buia come la giornata che l’ha preceduta il giorno seguente non può che concederti un pizzico di luce. Un po’ come quando tocchi il fondo: devi per forza risalire. Ho passato ore al telefono: tante voci, tante storie. E la mia? Nessuno che ascolti la mia. Ma va bene così. Quante sono le persone disposte ad ascoltare la tua voce? Un esercito, invece, parla e parla, a volte illudendosi di dire cose interessanti. Non è il mio caso. Ho la grande fortuna di ascoltare il più delle volte persone che mi affascinano. Quando avevo su per giù quattordici anni lessi “Momo”. Mi convinsi che mi sarei impegnata ad ascoltare quello che le persone avevano da dirmi. Chissà se ci sono riuscita. A volte mi ritrovo ad astrarmi mentre qualcuno mi parla, ma il più delle volte presto attenzione. E mi illudo di essere una Momo che siede ed ascolta. Ascolta.
Forse è davvero così: l’uscita dal microcosmo nel quale avevo deciso di starmene protetta ma che ormai avvertivo come una prigione mi ha procurato dolore. Lo scontro con le cose, con le persone, con quella che non credevo di essere o con quella che “ho voluto necessariamente essere” mi ferisce di continuo. Ma vado avanti, perchè forse per la prima volta nella mia vita sono convinta di qualcosa… Qualcuno ha scritto che “Non e’ mai troppo tardi per essere cio’ che avresti potuto essere.” era George Eliot e forse aveva proprio ragione.

Disappointment

e continuo a stupirmi.
Nel frattempo mi dimentico di cose importanti che appartengono a persone importanti della mia vita. Sono un’inguaribile smemorata.
In silenzio. Ma mi stupisco ancora, e mi indigno. Lo so, lo so, le persone hanno momenti diversi per ognuno dei propri incontri, per ognuna delle proprie realtà in cui vivono… eppure certe cose non finiranno mai di stupirmi. Hai come la sensazione di non sapere mai bene con chi hai a che fare.
Delle maschere, sì certo, lo so… ma non mi ci abituo proprio; e magari sono io stessa così…
Non lo so… forse non dovrei ancora stupirmi. Beh, fa ancora più tristezza e stupore e disincanto, soprattutto se è una persona alla quale hai tenuto particolarmente…. Ti insegnerà qualcosa questa c…. di vita?!
In questo momento sono un pò delusa… Mi toccherà riformulare dei parametri e tornare con un attimo con i piedi per terra. Ed è un’operazione che detesto.

E respiro

Ciao. Continuo a scriverti in questo posto così freddo e mi sento bene. Ho bisogno di raccontarti cose e fatti e persone e sensazioni. Ho la sensazione di star venendo su a bordo di una mongolfiera (si può dire “star venendo”? e si può dire “a bordo di una mongolfiera”?) e tutto quello che mi lascio a terra è così dolce. Lo osservo, con attenzione. Ed intanto salgo. Sempre più in alto, sempre più lontano. E respiro. Tutta quest’aria.
Sei qui? Con me? Come ogni sera? A leggermi? A dare un senso a quello che scrivo? Se un senso possano mai avere queste parole. Vorrei raccontarti dei primi esperimenti di programmazione andati a buon fine (per qualche secondo ho esultato davanti al monitor), di un diario telematico che forse esiste ed ha un senso solo se qualcuno lo legge (e magari mi invia un commento), del libro che ho iniziato a leggere in SITA stasera (“Le ore” di Cunningham)…
Sì, questa sera vorrei tanto raccontare una storia per farti sognare qualcosa di bello…
E invece sono stanca. Chiuderò un po’ gli occhi sperando di dormire e di sognare…
buonanotte

Il cliente ha sempre ragione

“Nooooo!!!” il giallo canarino sparisce nel nero profondo di una notte buia e tempestosa. Ho appena rovesciato il buon caffè Illy sulla bozza grafica da consegnare al cliente. Dovrò farne un’altra stampa. Ed il capo non aprrezzerà di certo tanto spreco di inchiostro.
“Terry! Dove sono i fogli?”
“Te l’ho detto una marea di volte. Li trovi nel terzo scaffale sulla destra!”
“Non ci arrivo lì!”
“Vengo!”
Pausa caffè terminata, ritorno alla bozza grafica. L’appuntamento è fissato per le 15.30 ed io ho sprecato tutta la pausa pranzo a stampare bozze con quella maledetta Epson che sputa fuori colori indecenti. Sarò per caso daltonica? Una bufera di tinte strane, danza di colori, magma incandescente di rossi, blu, verdi, red, green, blu, RGB.. la festa è finita… “Il cliente ha sempre ragione” mi ripeto mentre aggiusto il colletto della camicia e preparo la mano per il saluto.
“Sì, il cliente ha sempre ragione” continuo a ripetermi mentre mi avvicno alla sagoma informe. Il Signor T allunga la mano.
“Salve” il mio slauto cordiale
“Buongiorno” il suo saluto freddo e presegue “Si accomodi” sempre più gelidamente
“Ho portato con me la proposta grafica. Può visionarla sia su carta che a monitor”
Mi porge nuovamente la mano, questa volta per afferrare bruscamente quella festa di colori che la Epson ha sparato senza pietà. Stringe con forza i fogli che si piegano come petali. Dà un’occhiata veloce.
“Questo giallo è troppo forte, la foto troppo sbiadita, il limone sembra un’arancia, il testo non si legge, la linea sulla destra è troppo a destra”
“Ma quella deve essere un’arancia ed il giallo è quello di un limone che contrasta con l’arancione dell’arancia. Il testo è nero su bianco come dettano le buone regole sull’usabilità e la linea sulla destra bilancia quella sulla sinistra” è tutto quello che vorrei dire per difendere il mio capolavoro, frutto di due notti insonni, ma… mi ferma alla seconda sillaba senza nessuna pietà.
“Ci vediamo mercoledì per la seconda proposta”
“Il cliente ha sempre ragione” continuo a ripetermi in testa, contando fino a dieci ed emettendo un flebile “D’accordo, a mercoledì allora”
Mi tende la mano, quella destra, quella che pochi minuti prima aveva strpicciato la mia arte.
“Il cliente ha sempre ragione” continuo a ripetere in mente come una filastrocca ormai scaduta…